
Un altro anno nero per le pesche veronesi. A denunciarlo, oggi, tirando le somme della stagione in corso è Andrea Lavagnoli, presidente della Confederazione italiana agricoltori (Cia) di Verona, che parla di crisi dei prezzi, «con le pesche pagate 40 centesimi al chilo, pari al prezzo di produzione, quando vengono rivendute dalla grande distribuzione a 2,20-2,50, si aggiunge un calo dei consumi, con un mancato assorbimento della produzione locale causato anche dall’accanita concorrenza spagnola».
«Questa crisi colpisce i nostri produttori in modo molto pesante – sottolinea Lavagnoli – sia perché la produzione di pesche copre dei quantitativi importanti, sia perché per raggiungere una qualità di alto livello gli agricoltori, malgrado la crisi, non hanno mai smesso di rinnovare gli impianti, affrontando spese importanti. I produttori italiani e veronesi hanno pensato che per risalire la china fosse necessario basarsi sulle Igp, ma negli anni abbiamo visto che questa strada non porta ai risultati sperati. È un percorso incerto anche quello che punta ad accordi con la grande distribuzione, che con la globalizzazione ha assunto un enorme potere e la libertà di muoversi sul mercato a proprio piacimento per perseguire i propri interessi».
Ciò che manca, secondo la Cia, «è un ruolo centrale dell’Unione europea e dello Stato italiano, che dovrebbe compiere scelte strategiche per salvaguardare la base produttiva, occupazione e reddito in primis, e garantire prodotti sani e di qualità. Bisogna partire da politiche che aprano a nuovi mercati (Russia docet) e dall’attivazione di polizze che coprano i danni della volatilità dei prezzi – rimarca Lavagnoli -, prendendo dalla Pac (Politica agricola comune) i fondi che mancano alla programmazione per dar seguito alle misure già previste in tal senso dall’Ue».